Ci ha colpito molto il passaggio del primo discorso del nuovo Papa, Leone XIV:
Una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante.
Una frase che ci interroga da tanti punti di vista. Anche da quelli di chi pratica una disciplina come l’Aikido.
Anni e anni trascorsi ad attaccare e a ricevere. Ad evadere e a finalizzare. A sbilanciare e proiettare. A cadere e far cadere.
A imparare con fatica e dedizione a maneggiare, anche se di legno, armi e a esercitarsi a colpire.
Era il 1978. In una canzone strampalata -ma fino a un certo punto come erano e sono le sue- Vasco Rossi cantava:
…ma non ci si può rilassare
i Russi possono arrivare
ogni ora, ogni ora,
e se ci portano via le armi,
come facciamo la guerra dimmi… coi bastoni?
“Mah, io non lo so ….io piango e basta” [(Per quello che ho da fare) Faccio il militare].
Ogni tanto dovremmo guardarci allo specchio. Cioè, nei Dojo dove ci alleniamo ci sono dei bellissimi specchi e servono per mettere a posto la geometria della postura.
Però il senso è un altro: dovremmo chiederci che cosa stiamo facendo. Forse a volte siamo un po’ tutti convinti di poter andare a combattere…coi bastoni. Immaginiamo la scena: noi in prima linea al fronte, a respingere gli attacchi della fanteria nemica con un shomenuchi col bokken.
Però.
Però…si dice -e a ragione- che tutto l’Aikido derivi da tecniche di spada. E allora, di fronte alla follia di un attacco, si può rispondere studiando un modo di disarmare l’avversario.
Che diventa poi un modo per applicare lo stesso principio a mani nude, prima immobilizzandolo. Poi, quando si ha una maggiore perizia, proiettandolo. Sempre con la cura di non ledere, né prevaricare.
Di fronte alla follia di un attacco, si arriva infine a invertire i ruoli perché a sua volta chi ha ricevuto l’attacco faccia esperienza dell’assurdo di investire tempo ed energie per attaccare.
E chi pensava di poter dominare, senta che cosa si prova a dover evadere da una minaccia.
Nell’umile perseveranza di una pratica costante, si fa esperienza degli elementi che sono essenziali per una vera pace. Che, in definitiva, non dipendono né dalla conoscenza tecnica, né dalla preparazione fisica.
Ma dalla capacità di stare di fronte a quello specchio che è il nostro compagno, la nostra compagna di pratica e riconoscere in ciascuno di noi un’unica origine.
Non a caso, l’Aikido è stato definito l’Arte della Pace. Una pace non frikkettona, non utopica.
Una pace disarmata e disarmante.
Disclaimer: Foto di Maria Lysenko su Unsplash