È possibile comunicare su un post l’essenza di un’esperienza?
L’edizione del Riviera Seminar 2025 pone una sfida complessa. Il tema trattato – L’Aikido come Arte della Libertà – e lo spessore dei docenti, insieme alla profondità e all’impatto dei loro insegnamenti, rendono la missione particolarmente ardua.
Partiamo subito col dire che il Riviera Seminar è un format ormai consolidato, messo a punto da Patrick Cassidy e Miles Kessler Sensei, spesso proposto con la partecipazione di insegnanti ospiti. Si tiene ogni anno intorno alla festa di Pentecoste, nella splendida cornice della French Riviera, sul lago di Ginevra, tra Montreux e Vevey.
È un evento reso intenso dal fatto che non si tratta di stage puramente tecnici, ma di un grande lavoro sulle prospettive che sottendono la pratica. Poiché tuttavia la pratica ha una grammatica fisica e tecnica con cui può esprimere tali prospettive, possiamo dire che il Riviera Seminar richiede un impegno totale a livello psicofisico.
Quest’anno Miles Kessler è stato impossibilitato a partecipare, e così la riconfigurazione del team ha affiancato a Patrick Cassidy e Roberto Martucci anche Dan Messisco e Richard Moon.
Conosciamo Roberto Sensei da molto tempo. È stato grazie ai suoi sforzi e sacrifici che abbiamo potuto godere dell’insegnamento di Seishiro Endo nei seminar di Roma da lui organizzati. Un incontro che ha ispirato profondamente la nostra visione sull’Aikido. E per quanto riguarda lui: una persona coraggiosa, capace di cambiare radicalmente il proprio percorso di studio alla ricerca di maggiore sensibilità e connessione.
Non conoscevamo invece Dan Messisco e Richard Moon, se non attraverso qualche informazione trovata online.
Si sa: quando si è abituati a un format e gli ingredienti cambiano, si prova sempre una curiosità mista a diffidenza. Siamo tutti così abitudinari!
Fin da subito si è rivelato un seminar incredibilmente denso.
Dan Messisco e Richard Moon appartengono a una generazione di insegnanti che ha sviluppato l’essenzialità del gesto tecnico dopo – e grazie – a una vita di ricerca spesa sul tatami. Una generazione cresciuta in un’epoca in cui l’apprendimento tecnico era rigoroso, gli angoli chiari, l’energia totale. Epoche in cui non si facevano sconti all’uke.
Pur diversissimi, questi due insegnanti sono giunti a un medesimo approdo.
Richard Moon ancora la sua didattica sulle frasi di Morihei Ueshiba: il radicamento e la creazione di un centro solido diventano la risposta fisica alla definizione dell’Aikido come un ponte fluttuante che connette Cielo e Terra.
Non preordinare alcuna tecnica, ma restare in ascolto nella relazione durante un attacco finché la tecnica sgorghi spontanea: è una forma di didattica che mira a svelare ciò che è nascosto, e a rivelare l’origine divina di ogni realtà.
La ricerca di una relazione riconciliata, non sporcata da istinti di sopraffazione, rende possibile comprendere la visione del fondatore, che parlava di una progressione naturale: dall’armonia alla pace, dalla pace alla gioia.
Una gioia che nasce dalla consapevolezza di sé, dall’ascolto attento, e da un lavoro continuo – anche attraverso la relazione con il compagno – che può portare il praticante a “non dire all’Universo cosa deve fare”. Una potente metafora di quanto spesso cerchiamo di insegnare alla vita come dovrebbe trattarci.
Dan Messisco, per contro, arriva alla stessa meta attraverso una via totalmente fisica.
Uno studio meticoloso sullo spostamento e il bilanciamento della massa, unito a radicamento e mobilità totale, consente una sorta di indifferenza rispetto a ciò che arriva dall’esterno. Il centro diventa attrattore, ed è nella scoperta di questa libertà e responsabilità che si definisce non solo la pratica esteriore ma l’attitudine alla vita.
Un lavoro potente, che implica la purificazione del desiderio di applicare tecniche note, aspettando invece che il movimento emerga insieme al compagno. In altri termini: l’essenza del jiyu-waza, l’esecuzione libera delle tecniche.
In una cornice dove sotto le ceneri della tradizione arde potente il fuoco di un messaggio, la proposta di Roberto Martucci si è centrata sull’ascolto totale dell’energia del compagno. Un ascolto che conduce, che muove e destruttura inevitabilmente l’equilibrio di uke.
Una prospettiva basata su un noi che si sente, che si chiede che cosa sente e come si sente. Una risposta profonda al bisogno di senso che nasce quando il programma tecnico, col tempo, inizia ad apparire insufficiente.
Tre metodologie con radici diverse, ma frutti simili e convergenti verso un approccio totale. Totale perché l’attacco dell’uke deve essere pieno, con lavoro di potenza e agilità sulle gambe, base fisica dell’intenzione. Totale perché la connessione richiede coerenza, e questa coerenza si paga sempre con una caduta. Ecco perché è più comodo disimpegnarsi o credere di essere buoni attaccanti solo perché si arriva a bersaglio.
Ma l’essenza dell’Aikido è facilitare un processo trasformativo, più che essere un sistema di combattimento. Come un buon direttore d’orchestra e padrone di casa, Patrick Cassidy ha saputo fare sintesi di tutti questi contributi, offrendo un’esperienza fisica diretta del cambiamento.
Perché, se è vero che ci vogliono anni per affinare la geometria di una buona tecnica, è altrettanto vero che per sviluppare quel “noi” di cui ha bisogno la società; sondare le proprie zone d’ombra; attivare un percorso di crescita personale; usare la metafora dell’attacco per capire chi siamo sotto stress e quale potenziale abbiamo dentro…non servono decenni di pratica alle spalle.
La grandezza di insegnanti come Patrick Cassidy sta proprio in questo: creare percorsi esperienziali con strumenti semplici, funzionanti, profondi.
E in definitiva, seminar come questi ci mettono di fronte a chi eravamo, chi siamo e chi possiamo diventare. Con una conseguenza inevitabile – scomoda quanto rivoluzionaria: la decisione, come dice Richard Moon, dipende esclusivamente dal nostro cuore.