Ricordati che sei polvere, e in polvere ritornerai

Il titolo dell’articolo di oggi, “Ricordati che sei polvere, e in polvere ritornerai” sembra una frase degna di essere recitata da un guerriero al suo avversario prima della battaglia finale, quasi a volergli incutere un maggior timore prima di sferrare l’attacco. Invece no, è una nota citazione presente nella Bibbia, in particolare nel libro della Genesi, capitolo 3 versetto 19.

La polvere sul capo ci riporta a terra, ci ricorda che veniamo dalla terra e che in terra torneremo. Siamo cioè deboli, fragili, mortali. 

Oggi per i Cristiani è un mercoledì speciale perché segna l’inizio della Quaresima, un periodo di 40 giorni nel quale ciascun credente è chiamato a migliorare. Per farlo ha a disposizione alcuni aiuti: la preghiera, il digiuno, il perdono e la carità.

La preghiera è un dialogo con un Interlocutore Speciale. Spesso la si confonde con un elenco di bisogni e poi ci si arrabbia perché non otteniamo la loro realizzazione subito. Forse in questi casi ci confondiamo e, alla “dottor Jekyll e Mr. Hyde”, crediamo di essere noi Dio e iniziamo a voler comandare. Il nostro Interlocutore Speciale è buono come un padre e una madre che ascolta il proprio figlio e sa bene che molte delle richieste fatte non sono per il suo bene.

Ecco l’importanza dei “no” ricevuti dai nostri genitori quando eravamo piccoli. Certo, in quei precisi momenti, quei “no” ci hanno fatto piangere, arrabbiare, magari anche reagire fisicamente contro il genitore impassibile di fronte ai nostri capricci. Ora che siamo adulti, magari genitori a nostra volta, siamo grati di quei “no”.

Solo dopo molti anni e dopo aver ricoperto anche noi gli stessi panni di chi non ci aveva esaudito, capiamo che se avessimo ricevuto solo dei “si” non saremmo stati realmente felici e magari ci saremmo persi nella tristezza di un figlio che sa che ottiene tutto e subito dal genitore solo perché il genitore stesso si disinteressa di lui e non vuole essere disturbato.

Pregare significa prima di tutto ringraziare per quello che abbiamo e non abbiamo.

Personalmente ho imparato a pregare chiedendo a Dio la forza di accettare i Suoi “no” anche quando mi è difficile capirne la motivazione. Esattamente come da bambina non capivo i “no” dei miei genitori sono certa che arriverà il momento anche per me di capire i “no” di Dio. Lui sa cosa è veramente il mio bene. Non devo fare altro che fidarmi esattamente come un figlio ha piena fiducia della sua mamma e del suo papà.

Smettere di pregare perché riceviamo dei “no” sarebbe paragonabile ad un figlio e che per tutta la sua vita smette di parlare ai genitori perché non ha ottenuto la realizzazione del suo desiderio. Capiamo benissimo che alla fine il vero torto lo facciamo solo a noi stessi precludendo la possibilità di chi ci ama di aiutarci a crescere e migliorare.

Il digiuno è un mezzo di educazione e una forma di esercizio. Noi viviamo in un’epoca storica nella quale abbiamo abbondanza di cibo e una varietà di scelta che ormai non segue più nemmeno l’ordine delle stagioni. Di per sé non è un male. E’ sicuramente una grande fortuna rispetto a chi ha vissuto in epoche nelle quali non vi era nemmeno la possibilità di conservare facilmente il cibo. Eppure tutto questo benessere ha creato situazioni negative: obesità, sprechi, sfruttamento incondizionato della terra e inquinamento.

Digiunare può voler dire rinunciare al solito caffè di metà giornata o al solito dolcino dopo pranzo. Per i Cristiani viene richiesto, in particolare, di astenersi  dalla carne nei venerdì di Quaresima. Il significato di questo comando è profondo ma non è questo il tempo per dilungarci su un aspetto prettamente religioso. Quello che invece tengo a sottolineare è che questo precetto perderebbe di senso se sostituissimo la fettina di carne con un’aragosta. Ecco perché il digiuno non è solo una questione di cosa si può o non si può mangiare ma soprattutto del perché ci priviamo di qualcosa che normalmente abbiamo nella nostra quotidianità. Ai nostri tempi sarebbe molto più semplice chiedere un digiuno completo dal cibo per un giorno intero piuttosto che chiedere il digiuno per qualche ora dalla televisione o dal cellulare.

Se il digiuno è un mezzo di educazione, sappiamo molto bene che cosa sarebbe un utile digiuno per noi. Lo scopo dev’essere di migliorarci. Con la privazione di un qualcosa del quale siamo “schiavi” sicuramente ne usciremmo più forti e più liberi. Il digiuno quindi non è assolutamente una penitenza ma un vero e proprio esercizio nel quale alleniamo sia il copro che la mente a un obiettivo importate: la libertà soprattutto dalle nostre schiavitù.

Il perdono è una liberazione da un peso. Spesso si crede che il perdono sia un’azione verso un torto ricevuto da altri, ma non è così semplice.

Tutti noi siamo ben consapevoli che il perdono più difficile è quello verso noi stessi. Noi conosciamo molto bene le nostre azioni e le nostre omissioni. Cerchiamo di coprirle riempiendoci le giornate di “cose” da fare ma la sera, una volta coricati nel letto, nel silenzio della notte è proprio lì che il nostro cuore sente i macigni dei nostri peccati.

La coscienza ci riflette quello che realmente siamo senza filtri e questo causa in molti sofferenza e angoscia. Spesso si cerca una soluzione attraverso farmaci, alcolici e droghe, oppure ricorrendo a terzi, psicologi e professionisti più o meno seri.

Eppure la soluzione è così semplice e dipende solo da noi. Il sacramento della confessione altro non è che prendere il coraggio di dire a parole ciò che sentiamo dentro di noi. Dio non ha bisogno che noi gli diciamo i nostri peccati perché Lui ci conosce bene, non solo, ci ha addirittura già perdonato. Il vero problema è che più ci sentiamo sporchi e meno abbiamo il coraggio di specchiarci in un Soggetto pulito, con un cuore puro. Avere il coraggio di rendere esterno, con le parole, ciò che abbiamo internamente ci alleggerisce immediatamente e ci aiuta a capire che da ogni situazione di peccato c’è almeno una soluzione per uscirne liberati.

La carità è aprire la nostra vita agli altri. Spostare la nostra attenzione dai nostri interessi ai problemi di chi ci è accanto. Volgere lo sguardo verso chi ci chiede aiuto, spesso un aiuto silenzioso ma che rimbomba nei nostri cuori induriti.

L’atto caritatevole non dev’essere compiuto al solo fine di essere lodati, sarebbe ipocrisia, e non sarebbe utile a migliorare veramente noi stessi.

Papa Francesco in un suo discorso ha detto che la “carità e misericordia sono strettamente legate, perché sono il modo di essere e di agire di Dio: la sua identità e il suo nome”.

Attraverso le opere di carità e di misericordia possiamo avvicinarci all’Amore di Dio. La carità per sua natura si comunica, si diffonde. Ecco perché attraverso la carità ci avviciniamo agli altri. Noi non siamo nati per vivere solitari, isolati dagli altri. In questo particolare periodo siamo chiamati a direzionare le nostre attività quotidiane meno verso il nostro tornaconto personale e maggiormente verso chi ci sta accanto, agli amici, ai conoscenti, agli sconosciuti che incrociamo per le strade e al mondo intero.

In questo giorno detto “mercoledì delle ceneri”, chi va in Chiesa riceve dal sacerdote la cenere sul capo. Questo rito ci ricorda che non ha senso dedicare la nostra vita a inseguire la polvere che svanisce. Papa Francesco in una sua omelia ci ha spronato a farci una domanda: “Io, per cosa vivo?” E proseguiva dicendo che “se viviamo per le cose del mondo che passano, torniamo alla polvere”.

Richiamando ancora le parole del nostro Papa, “la cenere si posa sulle nostre teste perché nei cuori si accenda il fuoco dell’amore”.

Auguriamo a tutti voi che ci seguite di tenere sempre vivo il fuoco dell’amore. Per farlo basta seguire gli esercizi per il corpo e per lo spirito che vi abbiamo descritto.

Fra 40 giorni ci godremo le festività pasquali e l’arrivo della primavera. Che possa essere un periodo di rinascita personale per ciascuno di noi.

Buona ginnastica!

Disclaimer Foto by Kunj Parekh da Unsplash

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