Japanese Chronicles – Giorno 18 – Budo e cultura, facciamo il punto

Kyoto è una città culturalmente molto vivace.

In concomitanza con questi giorni di festa (in Giappone, dal 13 al 16 agosto si celebrano gli antenati, con la festa di Obon), i quartieri e i parchi si animano con molte attività.

Oggi, in un parco vicino al  santuario di Shimogamo, è stato allestito il più grande mercato di libri antichi e usati di Kyoto. Moltissime bancarelle  con una quantità sterminata di libri su qualsiasi genere e per qualsiasi portafoglio.

All’ennesima domanda fatta all’ennesimo venditore, nella quale chiedevamo se avessero dei libri sull’Aikido, oltre al “no” di ordinanza, ci è stato detto che -se proprio ci dovesse essere stata una bancarella dotata di tali volumi-quella sarebbe stata la bancarella in fondo a destra.

Che, ovviamente, non aveva nemmeno un libro sull’Aikido.

Abbiamo trovato qualche videocassetta sul Daito-Ryu Aiki Ju Jutsu, diverse opere sul Karate, qualcuna sul Judo e un po’ della stessa paccottiglia che anche a casa nostra si trova ancora a margine di qualche fiera dal sapore orientaleggiante.

Sapevamo che sarebbe stato difficile reperire testi sulla nostra disciplina. Del resto, anche all’Hombu Dojo, alcuni volumi scritti di Kisshomaru Ueshiba erano etichettati come esauriti.

Questo porta a fare qualche considerazione, che richiederebbe tempi e spazi certamente più ampi.

A fine anni ’80, quando mi sono affacciato sul tatami per la prima volta, l’idea di fondo era che per praticare la bocca dovesse rimanere chiusa. Non era sbagliato come principio in sé.

Dietro al “poche  parole, molta pratica”, si nascondeva però spesso un grande vuoto. Chi voleva approfondire, si trovava di fronte a una carenza di strumenti che facevano sì che l’unico tramite tra praticante e disciplina praticata fosse l’istruttore.

Con tutti i rischi -e le distorsioni cognitive del caso.

Il mondo delle Arti Marziali, perlomeno nostrane, era popolato da tanta brava gente, spesso di gran cuore, ancor più spesso a scolarizzazione medio bassa.  Un mix perfetto per una dedizione senza riserve verso la disciplina, condita spesso però da un certo fideismo costruito (anche) su pochissimi testi dal sapore quasi mitizzante di questa o di quell’Arte.

Ora come ora, la presenza di Internet consente un reperimento di informazioni impensabile trent’anni fa. La produzione di contenuti diventa virtualmente possibile per chiunque disponga di una connessione.

In altri termini, dal troppo poco, al troppo.

Per questo preservare e incrementare in modo oculato un patrimonio di pubblicazioni è importante; perché da un lato consentirebbe a quei molti che si trovano ancora nella scia del passato di accedere a un insieme minimo e solido di informazioni culturali di base.

Dall’altro permetterebbe a tutti di valutare in modo più oggettivo e bilanciato l’enorme quantità di autoproduzioni in cui ci si può perdere.

Dove per “perdere”, intendiamo da un lato innamorarsi della propria voce senza sentire quella degli altri e dall’altro letteralmente trangugiare qualsiasi cosa senza un minimo spirito critico che faccia da perimetro per ciò che ha un senso leggere e ritenere da ciò che non è così fondamentale.

Si legge, di quando in quando, sui social, qualche dotta disquisizione sui “mali dell’Aikido”.

Tatami che si svuotano, età che avanza, litigi tra insegnanti, guerre dei poveri tra enti…

Succede, a chi ama quello che fa, soprattutto se ha già qualche anno di pratica sulle spalle -e quindi anche sulla carta di identità.

Sembra sempre, e magari un fondo di verità c’è, che “altrove” si stia meglio. Ci sono nazioni in cui sembra esserci maggiore linfa. Tempi lontani in cui i Dojo di periferia in Italia erano più frequentati.

Ci si lancia in molte traiettorie di analisi e in altrettante ipotesi di rilancio.

Ma, a parte che così facendo, ci si dimentica di dire che anche in periodi di crisi esistono realtà capaci di attrarre nuova linfa e che, tutto sommato, bisognerebbe analizzare questi casi di successo per replicarli, secondo noi manca un aspetto di base.

Ogni realtà che non sappia produrre cultura e che non abbia un minimo peso nella vita culturale e sociale, è destinata ad essere messa da parte.

Per questo, essere in Giappone e vedere che proprio qui, nella sua capitale culturale, non esiste traccia nella produzione culturale in quello che è il più grande evento di bancarelle di libri, deve far pensare e tanto.

A chi interessa il tai no henko perfetto? E che traccia potrà avere nel presente e nel futuro il benessere psicofisico che la pratica porta con sé?

Occorre rialzarsi dopo ogni caduta.

Occorre avere il coraggio di porre obiettivi ambiziosi, ripartendo anche dalla cultura.

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