L’Arte della Sconfitta

Arte della Pace o Arte della Sconfitta?

E’ sempre facile appiccicare delle etichette e lo facciamo in continuazione. L’esigenza di definire qualcosa -o qualcuno- nasce dalla necessità di comprenderne il senso, la prospettiva.

Così, definire l’Aikido come Arte della Pace, predispone chi lo pratica in una prospettiva definita. Chiara nei suoi contorni etici.

Un po’ perché lo suggeriva Morihei Ueshiba, un po’ perché lo prospettava la fortunata intuizione di John Stevens di tradurre Aikido con Arte della Pace, l’idea del combattimento è stata sempre più messa ai margini della pratica. E, con essa, qualsiasi connotazione legata alla competizione o alla sportivizzazione del gesto.

Esperienze comuni a tutti, come vincere o perdere, si sono trovate così ad essere sempre più estranee al mondo dell’Aikido, così indaffarato a cercare di preservare il messaggio originale del suo fondatore da diventare talvolta rigidamente dogmatico.

La questione non è infatti stabilire se e a che condizioni la pratica dell’Aikido possa ospitare delle gare.

Ci sembra tuttavia bizzarro che, per esempio, a un bambino o a un ragazzo, che nel gioco fa continua esperienza di vittoria e sconfitta e che proprio grazie a queste esperienze, se ben indirizzato, cresce in modo costruttivo nelle relazioni, dovrebbe essere negata la medesima prospettiva solo perché sale su un tatami dove si pratica Aikido. Ma questa è un’altra storia e sarà la dinamica del tempo a portare l’Aikido là dove deve essere.

Il punto, qui, è rendersi conto che se una disciplina marziale è uno strumento di supporto alla crescita della persona, allora non può chiudersi di fronte al tema della sconfitta. Dell’imperfezione. Del limite.

E non può farlo nascondendosi dietro al dito del “ma io pratico un’attività non competitiva”, con tanto di spolverata di una presunta superiorità etica e morale nei confronti di chi magari le gare le fa e -incredibile!- riesce comunque a diventare una brava persona. Magari anche grazie a quelle.

C’è molta differenza tra studiare la sconfitta e rifuggirla.

Si può studiare la sconfitta, che è uno dei risultati statisticamente più ovvi di qualsiasi situazione conflittuale, anche senza gareggiare. Ma a condizione di un impegno rigoroso nell’allenamento e nello scambio tecnico con i propri compagni.

Riconoscersi fragili, incapaci e limitati è la condizione per poter cadere e rialzarsi. Non come gesto meccanico ma come spinta continua verso un miglioramento che diventa un imperativo morale. Per se stessi e per gli altri. E diventa anche speranza.

Oppure si può negare tutto ciò e limitarsi ad essere dei perfetti automi. Del resto l’esperienza insegna che dietro la perizia tecnica si nasconde, più sovente di quanto si pensi, una persona che crea un’armatura e investe tantissime energie non per evolvere, piuttosto per alimentare un’immagine di sé che gli anni e gli acciacchi rendono sempre più difficile da mantenere.

Dobbiamo avere il coraggio di tornare a parlare di definitività. Di vittoria e di sconfitta.
Perché il superamento del dualismo e delle contrapposizioni può nascere soltanto da un’esperienza sana delle polarità.
Sbagliare e avere la fortuna di essere accompagnati da tecnici che te lo fanno notare, dandoti gli strumenti per migliorarci…

Essere completamente dominati, soggiogati da una tecnica portata a termine senza possibilità alcuna di controbattere…

Eseguire un movimento ed essere totalmente ribaltati da una controtecnica

Recuperare un senso puramente geometrico degli esercizi tecnici -ad esempio nello studio delle armi e dei kata– per poter oggettivare se non un giusto e uno sbagliato, almeno un peggio e un meno peggio…

Si diceva recentemente durante un allenamento al Dojo che per crescere bisogna poter vedere qualcosa di nuovo anche nelle tecniche che diamo per consolidate. Ecco, questo qualcosa di nuovo è appunto l’imperfezione che in noi prende forme espressive sempre nuove.

Una sorta di simbionte senza il quale non ci sarebbe gusto nella progressione.

Allora, soltanto quando la sconfitta sarà vista, accettata e studiata, sarà possibile costruire la Pace e parlare dell’Arte con cui provare a diffonderla.

Disclaimer: Foto di NULL NULL da Pexels

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