Come il controllo può degenerare il cerchio, il quadrato e il triangolo

Cerchio, quadrato, triangolo.  Se dite queste parole a un ragazzo, certamente penserà al controller della console dei videogiochi. In realtà, scoprirete che anche tanti ex ragazzi saranno esperti di PlayStation, XBox, Nintendo.

Su queste figure geometriche si è scritto e detto tanto. Essendo forme in qualche modo archetipiche, è ovvio che si ritrovino un po’ dappertutto: in natura, nell’arte, nella tecnologia, nelle rappresentazioni simboliche. Ovviamente anche nelle arti marziali: il fondatore dell’Aikido affermava che l’Aiki fosse una fusione di triangolo, cerchio e quadrato.

In questo post tuttavia non cercheremo di decodificare le parole di Morihei Ueshiba, né di parlare di ciò che è evidente: scomponendo i movimenti delle tecniche, emergeranno sempre combinazioni delle figure geometriche di base, la cui sintesi nel fluire risulterà una serie di spirali su cui imbastire la comunicazione col compagno di pratica: marziale, relazionale, esperienziale.

In queste righe condividiamo una sensazione che emerge spontaneamente guardando questi simboli confinati dentro un controller. In qualche modo, questo oggetto rappresenta molto bene la perenne condizione (o tentazione) in cui si muovono le nostre esistenze: disponiamo di strumenti di libertà e li confiniamo dentro una finalità più o meno consapevole di controllo.

Percorrere una strada (un “do”), è un’esperienza stupenda, avvincente ma certamente non priva di fatica e di rischi.

Il praticante di arti marziali è soggetto come e più di altri al rischio aggiuntivo di mistificare i principi e, lentamente, piegarli a finalità diverse dallo sviluppo armonioso del proprio essere. In altri termini, piegare il lavoro svolto al dojo ad un’esigenza più o meno dichiarata di controllo e di libero sfogo dell’ego.

Così, non purificato da un controllo fine a se stesso:

  • il cerchio diventa simbolo sì di serenità e perfezione, ma autoreferenziale. Amplifichiamo il nostro ego dimenticando il punto di vista altrui, così preoccupati di far espandere la nostra presenza da travolgere tutto il resto. E così piano piano, creiamo il “nostro” cerchio, in cui stiamo bene specchiandoci solo in chi la pensa come noi, un bozzolo protetto dall’esterno in cui piano piano soffochiamo senza diventare farfalle che sanno dare bellezza ed eleganza al mondo;
  • il quadrato calcifica e sclerotizza la nostra pratica rendendola spesso manipolativa: tanto a livello fisico, abusando delle giunture del malcapitato quando non cade come vorremmo noi quanto a livello relazionale, creando divisioni, immotivate dipendenze, prendendo sul personale qualsiasi cosa e covando sotto la cenere di un apparente buonismo una serie innumerevole di escalation emotive, verbali e fisiche per ribadire “chi è che comanda”;
  • il triangolo anziché rappresentare l’energia generata da una postura stabile, diventa lentamente il simbolo di instabilità. Le relazioni diventano polarizzate, si creano appunto triangolazioni, chiacchiericci, critiche tutt’altro che costruttive, orientate a finalità che con il “do” non c’entrano nulla.

Il web è pieno di questi esempi, forse anche perché internet esacerba l’autoreferenzialità, il senso di onnipotenza di una supervisione più o meno occulta e aumenta il distacco dal confronto reale, fisico, che è il primo e vero antidoto al virus del controllo cui tutti siamo esposti.

La domanda, che ha una risposta aperta, è quindi lecita: se quello che emerge da tanti praticanti di discipline nella sfera dei social network ha un determinato sapore, che cosa succede realmente sul tatami?

La vita stessa è sempre una prova. Nell’ allenamento,
dovete mettervi alla prova e purificarvi 
per affrontare le grandi sfide della vita.
Trascendete il regno della vita e della morte,
e poi sarete in grado di fare il vostro percorso
in modo calmo e sicuro attraverso ogni crisi
che affronterete. Morihei Ueshiba, L’Arte della Pace

 

Disclaimer Photo by Florian Gagnepain on Unsplash

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