Conoscete la “vespa samurai”? No? E’ un piccolo insetto di cui presto faremo conoscenza diretta, perché sarà introdotto nei nostri frutteti e nei nostri campi per tentare di contrastare la diffusione della cimice asiatica.
Tra i regali della globalizzazione, infatti, c’è anche la diffusione su scala globale di specie che trovano terreno fertile per riprodursi anche alle nostre latitudini. E’ emblematico il caso della cimice asiatica, arrivata in Europa intorno al 2007 attraverso gli hub della logistica svizzeri, ha messo in ginocchio il settore delle colture, arrivando a distruggere circa il 40% di interi raccolti.
Così, mentre la ricerca cerca di identificare metodi sicuri per contrastare chimicamente la proliferazione di questo insetto, parallelamente si prova a contenere la diffusione della cimice introducendo un altro insetto antagonista che, parassitandone le uova, tendenzialmente dovrebbe ridurne la popolazione. La vespa samurai, appunto.
Sono temi seri, di cui si parla poco ma che riguardano tutti, perché la produzione di cibo è di interesse primario. Eppure si fa poco, e sempre meno, per attuare sorveglianza e contenimento di specie che, al di fuori del loro habitat originale, sconvolgono interi ecosistemi. Vale per tutto ciò che è vivo: mammiferi, rettili, insetti, piante, pesci.
In che modo questi temi riguardano il praticante di Arti Marziali? Non certo per il fatto che sia adoperata la “vespa samurai”…
Piuttosto, mentre l’altro giorno passavo in rassegna le nostre piante sterminando le cimici che riuscivo a catturare, riflettevo sull’enorme distanza che mediamente c’è tra le nostre esistenze e un non meglio precisato “ordine naturale delle cose”.
Per quanto alcuni di noi possano avere la fortuna di possedere un orto, di norma ci procuriamo tutto ciò serve grazie a una strisciata di bancomat, senza bisogno di sporcarci le mani.
Così gradualmente ci dimentichiamo che la terra sì, produce frutto, a patto però che questo frutto sia difeso e liberato da parassiti e che sia protetto dalla fame di altre specie. (Chiedere per conferma a chi vive in zone popolate da cinghiali).
E la terra, la “madre terra”, è una madre generosa, ma permette ad altre piante di crescere. Per cui se non si libera costantemente il campo dalle graminacee, per esempio, in poco tempo il campo diventa incoltivabile.
Noi siamo affascinati dal richiamo a una vita più a contatto con la natura. Ed è una cosa buona, perché vuol dire che abbiamo ancora un po’ di sensibilità e rispetto per le nostre radici. Nella nostra pratica parliamo spesso di “naturalezza” del gesto, del movimento.
Nelle nostre comunità di pratica è spesso radicata una coscienza ambientale prominente, una tendenza a stili di vita e di acquisto ecosostenibili e “bio”, un diffuso rifiuto della caccia…
Contemporaneamente, cerchiamo di non dimenticare che l’Arte Marziale è per definizione uno strumento di accettazione e coesistenza tra vita e morte. Quando si iniziano questo tipo di riflessioni ci si sente molto samurai (non la vespa, il guerriero). Ma poi si torna a casa e si prepara cena aprendo una confezione presa al supermercato, scaldando acqua che arriva pulita aprendo un rubinetto, su un fuoco ottenuto dalla combustione di un gas fossile che ha viaggiato per migliaia di chilometri, generalmente da zone altamente militarizzate o sconvolte da anni di guerra.
La com-petizione, l’insistere sulla stessa risorsa da parte di più soggetti che la vogliono per sé, diventa così qualcosa di oscuro, oppure è completamente rimossa dalla nostra percezione.
Nei disciplinari di molte colture sono obbligatori o caldamente consigliati, nel ciclo di produzione di una pianta, numerosi interventi di contrasto a parassiti, funghi e muffe.
Di fatto, per poter mettere sotto i denti qualcosa, estirpiamo, modifichiamo e uccidiamo, in continuazione.
Per il consumo di altre forme viventi, il concetto è più chiaro: è evidente che se i nostri nonni o bisnonni erano capaci di tirare il collo a una gallina, di scannare un maiale o un vitello, certamente noi non abbiamo bisogno di sentire lo schiocco del collo di un pollo tra le mani per mangiare delle saporitissime alette in salsa barbecue.
Quindi noi siamo marzialisti che si allenano, a volte come ossessi, che non sono a volte capaci di schiacciare una zanzara o che si fanno remore a schiacciare una cimice.
Beninteso: è un’ottima cosa non sporcarsi le mani, non coltivare uno spirito sanguinario. Non è necessario sapere macellare un agnello per essere un nono dan. Anzi.
Però bisognerbbe ogni tanto ricordarci che noi, perlomeno noi che abitiamo questo tempo e queste terre, viviamo come in una bolla che rischia di farci perdere connessione con la realtà. E la realtà è che le leggi naturali sono magnifiche e perfette ma sono improntate ad una continua vera e propria lotta per la sopravvivenza. Un continuo “tutti contro tutti” ben mascherato dall’apparenza gentile del canto di un uccello, dei lineamenti di un mammifero, del guizzare di un banco di pesci.
E che socialmente sublimiamo in forme di ferocia altrettanto ben mascherate aventi come oggetto i più deboli.
La totalità con cui un animale si affanna alla ricerca del cibo, alla fuga dal predatore, alla ricerca di un partner per assicurare la continuità della specie, è frutto di una scelta binaria: esserci o non esserci.
Le condizioni in cui versano quattro quinti dell’umanità non sono diverse.
Poi ci siamo noi che, con la pancia piena di hamburger, possiamo permetterci di ignorare questa realtà. E che infatti stiamo andando in tilt di fronte all’evidenza portata alla ribalta da un piccolo virus: “eppur si muore”!
Allora ben vengano le Arti Marziali che possono sì ricordarci che il corpo si può muovere in modo più libero di quanto non sia abituato a fare. Che possono rammentarci che è meglio togliersi, in caso di combattimento, dalla linea di tiro.
Ma che in fondo devono ricordarci che l’essere umano può scegliere di trasformare l’inevitabile competizione in cui è immerso in cooperazione perché tutti possano prosperare.
Questo è l’ “unicum” che contraddistingue l’uomo dal resto dell’ordine delle cose. L’uomo può, senza sottrarsi dal lavoro quotidiano per ritagliare un suo spazio nel mondo, far evolvere tale lotta in qualcosa di più ampio e meno compulsiva. Questo è il messaggio di un “do”: non un irenismo irreale ma la condivisione dell’agonismo del vivere.
Disclaimer: l’Autore della foto Samurai wasp sopra esposta è la Oregon State University, tutti i diritti sono riservati. La fotografia è diffusa dall’Autore secondo la licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic.