L’infinito nel finito

Nel Dojo dove pratichiamo, abbiamo dedicato gli ultimi tre anni alla costruzione di un vasto archivio del programma tecnico, ora disponibile su YouTube.

Un lavoro intenso, che ad oggi ha consentito di mettere un primo perimetro, una cornice all’aspetto puramente formale della pratica dell’Aikido. Fin qui, abbiamo catalogato 1652 espressioni tecniche.

Ce ne sono sicuramente altre e, molto probabilmente, altre nasceranno dalla ricerca e dallo studio.

A che cosa serve tutto ciò, oltre a garantire alla comunità dei praticanti uno strumento per la conoscenza dell’esecuzione formale? Il risultato più grande, a nostro modo di vedere, è poter dire che il vocabolario dell’Aikido è composto da più o meno 1600 “parole”.

Come nelle lingue, le parole sono comunque “finite”: un vocabolario ne può contenere un numero ampio ma comunque non infinito.

Tuttavia, con un numero “finito” di parole, si può costruire un numero “infinito” di frasi e, attraverso esse, di significati, narrazioni, espressioni…

Che cos’è allora l’Aikido? Una lingua o un linguaggio? Inoltre, lingua o linguaggio che sia, serve davvero conoscerne tutte le parole?

La linguistica e la neurolinguistca ci insegnano che il linguaggio è una caratteristica comune ad ogni essere umano, che prescinde dalla cultura di appartenenza. Un bambino, nato in un luogo e cresciuto in un’altra cultura, è capace di sviluppare la lingua della cultura che lo accoglie.

Le lingue si innestano su questa capacità che ognuno di noi ha, per così dire, preinstallata alla nascita. Per alcuni studiosi, come per esempio per il Prof. Andrea Moro, hanno un comportamento simile ai virus influenzali: le si apprendono per contatto e servono per organizzare le comunità, definirne i confini e ruoli. In un certo senso, le lingue sono una protezione dal caos in cui l’umanità ricadrebbe se parlasse un’unica lingua.

L’Aikido che cos’è dunque? Sicuramente è una lingua, con le sue regole, la sua grammatica. Espressione di una cultura ben precisa, si è diffusa in tutto il mondo. Se è una lingua, è vivo. E se è vivo, necessariamente si contamina nel tempo. Per quanto ci si sforzi a preservare la radice, il contatto con altre culture, altri tempi e altre esigenze ne modifica lentamente e inesorabilmente termini, pronuncia e frasi. Nascono così gli stili e nascono quelle espressioni che tanto scandalizzano i puristi che sono cresciuti a lacrime e sangue con i primi insegnanti mandati dal Giappone.

Contemporaneamente ha le caratteristiche del linguaggio. Come dicevamo prima, permette di creare un numero pressoché infinito di situazioni: anche un principiante può andare avanti all’infinito a ricevere e restituire uno shomenuchi kotegaeshi, per esempio… Ci sono tante versioni marziali delle filastrocche come “C’era una volta un Re, che disse alla sua serva “Raccontami una storia”. La serva cominciò: “C’era una volta un Re,…”

Inoltre, come nel linguaggio, dispone di elementi che non dipendono dal significato di ciò che vogliamo dire. Quando da bambini giocavamo a inventare le parole, le usavamo per costruire frasi che avevano un “senso”, anche se non volevano dire assolutamente niente. Così nello scambio durante la pratica, tori e uke possono incontrarsi anche se talvolta il senso tecnico dello scambio non ha alcuna valenza, per esempio dal punto di vista del combattimento (ricordiamoci l’espressione esterrefatta di Mike Tyson di fronte a ryotedori).

Infine, nel linguaggio, l’essere umano è l’unico essere vivente che può dire ciò che vuole indipendentemente dal contesto. Un merlo fischierà per venti ore al giorno nel periodo degli amori ma mai durante il freddo inverno. L’essere umano è capace di produrre la “Divina Commedia” pur rimanendo chiuso in uno stanzino durante un esilio, come effettivamente Dante fece nel 1304.

Così capita in una disciplina come l’Aikido, dove l’incontro di tori e uke dà origine ad ogni possibilità. In quel momento la coppia “co-crea” non solo la tecnica e la forma, ma l’espressione di tutto il mondo interiore, rendendo il momento unico e irripetibile.

Secondo gli studiosi, si stima che un diplomato italiano sia entrato in contatto nella sua vita da studente con circa 30.000 termini della lingua italiana, ne conosca circa 6.500 e ne usi più o meno 2.000.

Il tutto all’interno di circa 270.000 parole contenute nel vocabolario della lingua italiana, che danno origine a quasi 2 milioni di parole ed espressioni che creano l’intero patrimonio della lingua italiana.

Occorre conoscere quindi 1652 tecniche di Aikido per “dialogare” sul tatami? Certamente più termini conosciamo, meno le nostre frasi sembreranno sempre uguali. Chi di noi non ha nella sua cerchia amici, parenti e conoscenti che, quando parlano, dicono sempre le stesse cose, usando sempre le stesse parole?

Per contro, come nelle lingue, più termini conosciamo, più rischiamo di rendere oscuro il senso di ciò che diciamo. Chi di noi non ha avuto incontri con persone che parlavano in modo così forbito che, alla fine, facevamo fatica a capire che cosa ci avevano detto?

Nel processo di crescita, il nostro desiderio di qualcosa “di più”, di infinito, è la scintilla che accende la voglia di imparare, di fare, di creare e strumenti come le discipline marziali sono ottimi alleati per fare esperienza di infinito pur nel recinto finito che ci confina nel tempo e nella forma.

Disclaimer: Foto di Pixabay

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