Poche donne sul tatami?

Poche donne sui tatami? Proviamo a fare una riflessione.

Se ci limitiamo a dire che la maggioranza degli utenti di un corso di Arti Marziali è maschile, diciamo un’ovvietà. Ci sono sempre più segnali di lenta inversione di tendenza – nel Dojo dove studiamo la presenza femminile è pari al 30% dei tesserati e ci sono sere in cui si raggiunge quasi una parità- tuttavia si è molto lontani da una partecipazione bilanciata.

Se guardiamo alla società e ai tanti ruoli di cui è composta, la sproporzione spesso è la stessa. Ma perché, se è vero che nell’occidente il poco più del 51% della popolazione è femminile? Perché se le donne sono di più, finiscono con l’essere meno presenti?

Perché, in qualche modo, spariscono dai radar?

Nell’esaminare i possibili motivi di questo divario relativi alla presenza su un tatami, riteniamo che possano emergere elementi di riflessioni più ampi, che vanno ben oltre i limitati confini di un Dojo.

Innanzitutto può darsi benissimo che una donna non faccia qualcosa semplicemente perchéNon ne ha voglia. In questo sono meno cervellotiche e meno gregarie dell’approccio maschile alle cose.

Se poi l’ambiente che visitano anziché abbattere aumenta la percezione di barriere culturali e sociali con cui una donna si scontra solitamente fin dalla nascita, il non partecipare appare come l’unica scelta intelligente. Determinati ambienti ad alta presenza di testosterone e a basso tasso di sensibilità ed educazione possono rispondere forse all’identikit degli action movie degli anni ’80 e ’90 e solleticare l’adolescente brufoloso che è in tanti uomini. Ma certamente costituiscono un repellente per chi “non ha tempo da perdere“.

Ecco, il tempo, appunto. Altro grande nemico della presenza di una donna su un tatami. Il bilanciamento tra vita professionale, affettiva e attività personali è un vero problema. Lo è a dire il vero a prescindere dal genere di appartenenza.

Ma le donne che lavorano sanno quanto sia già faticoso ottenere rispetto e pari trattamenti. Finito il lavoro, se hanno famiglia, spesso sono risucchiate in quel buco nero che è il tentativo di star dietro a tutto e tutti.

Se hai marito e/o figli ti troverai a poter avere un momento per te mentre sei in bagno o a letto. Se non hai marito e/o figli avrai comunque una famiglia di provenienza con problematiche crescenti negli anni. Se non hai nessun legame di sangue ci sarà sempre l’amica che ti chiama per raccontarti l’ennesimo cliché relazionale da cui vorrai dissuaderla o un cane da portare fuori alle sette di mattina anche quando stai male.

Insomma, figurati se hai tempo per un percorso lungo, da fare la sera e -almeno all’inizio- in mezzo a tanti uomini vestiti da pizzaioli giapponesi.

Le donne, generalmente, sono maestre di equilibrio e di bilanciamento, molto più degli uomini. Che cosa succederebbe al loro complesso equilibrio tra casa, lavoro, studio, gatti, fidanzati, figli, amici se mettessero anche la pratica di una disciplina nella loro agenda?
O se, nel praticarla, si facessero male?

Dell’universo femminile ci si ricorda solo quando va in onda un rito collettivo di espiazione, di fronte a omicidi efferati e a violenze inaudite che hanno come vittime figlie, fidanzate, mogli, madri, colleghe, amiche. Allora è tutto un fiorire di iniziative, tanti che parlano di difesa personale; altri ancora che parlano di diritti. Tutto corretto, necessario e sacrosanto eppure parziale.

Oppure ci si rivolge a qualche caso di successo quasi come se si trattasse di un animale da circo. Ci si sente sempre tanto liberali e moderni quando si loda il successo di una donna che con tenacia e caparbietà finisce ad essere astronauta, manager, artista, rettrice…

A noi piacerebbe rovesciare quindi questo schema. Questa situazione in cui tra l’estremo della violenza e l’estremo dell’esaltazione della singola donna di successo, il mondo femminile rimane in ombra, salvo essere rappresentato spesso sui media esclusivamente in funzione dei centimetri di tacchi e minigonne.

Crediamo che, sì, una disciplina marziale e in particolare l’Aikido, possa aiutare a migliorare le istanze di equilibrio, di bilanciamento, di autostima, di sicurezza, di benessere e di relazionalità di donne e uomini di qualsiasi età e condizione.

Ma siamo convinti che l’approccio stesso sia da rivoluzionare. Non è la donna ad aver bisogno della disciplina (in questo caso marziale). Ma è la disciplina marziale che ha bisogno di mettere la donna al centro e imparare da essa.

In questo reciproco scambio, il gruppo imparerà sensibilità, adattamento, fluidità, resistenza, focalizzazione e le molte altre caratteristiche innate del femminile. E la donna si ritroverà nella piena consapevolezza del suo valore, che deve poter emergere in modo stabile e visibile. Riconosciuto e riconoscibile.

Ci sono poche donne sul tatami? Rimettiamole al centro per imparare da loro. Non verranno perché hanno bisogno. Quello che possono imparare in fondo lo sanno già; al limite lo capiranno in modo più razionale, ottimizzato e non solo intuitivo.

Verranno quando capiranno e sentiranno che ci sarà un luogo che ha bisogno di loro.

Disclaimer Foto di Pixabay CC0

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