Finché morote non vi separi

Essere invitati a un matrimonio è sempre una splendida occasione. Si festeggia la nascita di una nuova famiglia, il coronamento di un sogno. Si celebra la forza letteralmente creativa dell’amore.

Se poi il matrimonio è quello di amici che abbiamo la fortuna di accompagnare nel percorso di pratica dell’Aikido, allora è anche una meravigliosa occasione per fare qualche riflessione.

Ciascuno di noi ha una sua storia personale, che biologicamente origina dall’unione di chi ci ha messi al mondo e che è fatta delle relazioni che abbiamo avuto. Siamo il risultato di chi ci ha nutriti, svezzati, ascoltati, accuditi, educati. Siamo anche il risultato degli incidenti che ci sono stati nelle relazioni e negli incontri avuti: non sempre sono rose e fiori.

A un certo punto nasce un desiderio, una curiosità, un istinto che potremmo paragonare allo stimolo che sente la giovane rondine quando spicca il suo primo volo. Si avverte un mix di emozioni e di volontà, magari non ben delineate, che ci portano al di fuori di quanto è noto. Cerchiamo qualcuno con cui guardare nella stessa direzione.

Un matrimonio di per sé non è una cosa così difficile: è il fondamento della storia dell’umanità. Tuttavia è meravigliosamente complesso. Rappresenta una condizione in cui la piena presenza di due individui costruisce una realtà nuova, non duale. Non più la somma di due persone ma nemmeno il dissolvimento di due individui.

Viviamo in una società “liquida”, con situazioni lavorative precarie e stili di vita indotti e man mano accettati che ci persuadono in modo viscido che la scelta di sposarsi dipenda esclusivamente da condizioni economiche.
A livello dialettico, ci saranno sempre eccellenti motivazioni sia per convolare a nozze sia per rimanere all’interno di legami meno ufficiali.

Ma la vita se ne infischia della dialettica e pone al centro la sostanza. E la sostanza è che certe cose si possono capire -e vivere e far forse fiorire- solo se si accetta un salto nel buio, accogliendo un “cambiamento del proprio stato”. Che passa anche dal sancire un legame tra due persone ufficializzandolo di fronte alla società.

La nostra semplice vita di una pratica marziale parla della medesima natura umana. Non progrediamo senza le relazioni. Non comprendiamo nulla senza un lavoro costante di comprensione della nostra identità, che ci permette di accettare e comprendere anche l’altro.

In particolare, l’Aikido è una pratica di rigorosa comprensione di sé e dell’altro che sublima nel superamento della non dualità nel momento in cui si perfeziona l’azione.

E nella pratica ci sono momenti in cui la paura ci blocca. Ma è solo accettando di fare letteralmente un salto nel vuoto che una proiezione diventa uno strumento che apre orizzonti di crescita sconfinati. Così come è solo l’assunzione della responsabilità di essere esaminati che consente di rivedere quello che siamo da prospettive sempre nuove: uno yudansha e una persona con un mese di esperienza non sono altro che due persone con un grado di comprensione differente della medesima situazione.

Per questo, una pratica di auto-coltivazione come l’Aikido (come qualunque disciplina), è uno strumento potente per far crescere la relazione di coppia, perché si basa sui medesimi pilastri fondanti.

Anzi, c’è di più. Se è vero che fortunatamente non si possono vivere tutte le ventiquattro ore uno appiccicato all’altra e che è fondamentale riservare a se stessi spazi per poter ricaricarsi, è ancora più vero che una coppia che decide di praticare insieme una disciplina, si trova totalmente nuda.

Il che non guasta, ma è una nudità che mostra di noi quelle cose che noi non conosciamo nemmeno e che magari non vorremmo così tanto condividere, meno che mai con la persona con cui vogliamo essere sempre nella nostra versione migliore.

Ed è accettando quello che siamo che possiamo davvero crescere e amare, realizzando , finalmente, “quel poco di pace che tutti cerchiamo, e che solo alcuni raggiungono”. (Che è una citazione de “L’Ultimo Samurai” che non a caso è un film molto romantico).

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