Perché praticare una disciplina marziale? In generale: che valore ha mantenere una costanza di allenamento all’interno di un mondo che sembra perdere e far perdere punti di riferimento?
Le attività sportive sono state severamente impattate dalla pandemia. All’interno di esse, le discipline di contatto, come le Arti Marziali, sono state ancora più penalizzate. Primi a essere fermati, ultimi ad essere legittimati a ricominciare.
Eppure, seppure con forti contraccolpi, il movimento non si è estinto. In alcuni casi, l’obbligo a dover inventarsi nuovi luoghi di pratica all’aperto ha permesso anche di far conoscere di più e meglio lo spirito delle discipline a tanti che, fino a quel momento, le ignoravano.
Possiamo dire che sia stato un allenamento, durato un paio di anni.
Ma allenarsi deve servire a qualche cosa.
A livello esteso -in economia si direbbe: a livello macro– potrebbe darsi che gli anni vissuti a cercare di navigare nelle ristrettezze della pandemia siano serviti come allenamento per cercare di galleggiare nelle tempeste di una crisi di maggiore portata. Tutti ci auguriamo che possa durare poco e che il dialogo e la ragione possano assicurare pace e benessere a tutti. Ma nessuno può illudersi che il mare dei prossimi tempi possa essere calmo.
L’ottimismo è, anche, saper comprendere i libri di Storia e nonostante tutto preparare il domani, che pure verrà.
Per preparare il domani non si può che partire dall’oggi. E nell’oggi ci sono infiniti spazi per poter costruire la persona che siamo e lucidare quel diamante dalle caratteristiche uniche che ognuno di noi è.
La pratica di una disciplina marziale non regala bacchette magiche ma crea le condizioni per costruire il proprio bene -e conseguentemente, le basi per il bene comune.
La ripetizione degli esercizi, la comprensione graduale dei principi, l’accettazione e la sfida del limite fisico, emotivo e relazionale che si vive in ogni scambio all’interno della pratica di coppia, assomigliano all’incessante opera di costruzione delle api.
Le quali, volo dopo volo, cella dopo cella, costruiscono una struttura solida che si basa su elementi semplici, quasi banali. Che cosa c’è di più piccolo di un minuscolo esagono di cera?
Lo stesso può succedere -e succede- in una disciplina marziale.
Tutti noi desideriamo la pace e vivere in pace ma molti di noi vivono come se fossero api che, invece di costruire ciascuna la sua celletta, si mettono a fare qualsiasi altra cosa. Una a fare cellette ogni giorno di una forma diversa, l’altra a pontificare che le api devono emanciparsi dalla schiavitù del miele, altre ad atteggiarsi a vespe, altre a cercare di estrarre nettare dalle pietre e così via.
La pratica marziale offre il grande privilegio di poter dare un nome e un volto ai responsabili di un’azione. Un nome e un volto che è il mio; l’altro è quello della persona con cui mi alleno.
E’ un dettaglio piccolo ma aiuta a uscire dalla dinamica schizofrenica di saper solo lamentarsi perché il mondo va a rotoli. Iniziare a far andare un po’ meno a rotoli la propria esistenza significa coltivare oggi perché il nostro domani fiorisca un po’ di più.
Il bene comune parte da qui, con gesti semplici. Col coraggio di un’ape che instancabilmente ripete le forme che danno struttura e solidità.
Se ce la fa un insetto, perché non proviamo anche noi?
Disclaimer: foto di Meggyn Pomerleau da Unsplash